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domenica 12 gennaio 2014

MANOVRE DI DISOSTRUZIONE PEDIATRICA

Non dimenticatevi mai di ripassare le manovre perché “chi salva un bambino salva il mondo intero”!!!

Un bambino alla settimana in Italia perde la vita per ostruzione delle vie aeree, questo non deve spaventare o allarmare in modo eccessivo, ma purtroppo aprire gli occhi sulla realtà.
In genere non è l’oggetto in sé a provocare la morte i gravi danni al bambino, ma il non saper fare la cosa giusta! Ecco le linee guida internazionali: quando ci si accorge che il bambino non sta respirando, che è diventato scuro in volto, lo dobbiamo invitare a tossire (nel frattempo qualcuno deve chiamare il 118).
Poi bisogna prendere il bambino per la mandibola, posizionarlo a testa in giù sul ginocchio e dargli cinque colpi ben assestati tra le due scapole verso l’esterno. Subito dopo bisogna praticare la manovra di Heimlich: in pratica si fa una compressione addominale a livello dell’epigastrio, in direzione del diaframma. La compressione provoca l’aumento brusco della pressione sottodiaframmatica che si propaga al torace e produce una spinta verso le vie aeree superiori.
Per i bambini questa manovra è consigliata però solo sopra l’anno di età.
La manovra di Heimlich, va alternata ai cinque colpi, fino a quando il corpo estraneo non è fuori e il bambino respira nuovamente bene.

I lattanti, ossia i bimbi fino a 12 mesi, invece, vanno trattati diversamente. Il bambino va preso sempre per la mandibola, ma lo si tiene sul braccio con il viso rivolto verso il pavimento e si applicano, anche in questo caso, i cinque colpi ben assestati. Poi lo si gira e si effettuano cinque compressioni al centro del torace; le due manovre vanno sempre alternate.



Ecco due video da guardare!


 


venerdì 10 gennaio 2014

LA COMUNICAZIONE NON VERBALE

La comunicazione non verbale, costituita da sguardo, mimica facciale, contatto corporeo, postura, distanza, orientamento, gesti, voce e aspetti non verbali del parlato è essenziale e, se si vuole trasmettere un messaggio efficace, deve accompagnare sempre la comunicazione verbale. Immaginiamo un’educatrice che, all’arrivo del genitore, è sulla soglia della stanza, tiene la porta aperta e sorride al bambino e alla mamma che lo tiene in braccio, poi li fa entrare tenendo le braccia aperte e guardando la mamma negli occhi. Oppure, la stessa educatrice resta all’interno della stanza, saluta mamma e bambino senza sorridere e tiene le braccia incrociate sul petto. Anche se il contenuto della conversazione può essere identico, è chiaro come le emozioni che traspaiono sono molto diverse. Dobbiamo sempre ricordare, quindi, che impostare una conversazione con il genitore o con qualsiasi altra persona non significa soltanto pensare ai contenuti da riferire, ma significa anche imparare a controllare i propri gesti, essere accoglienti con tutto il proprio corpo, comunicare empatia e comprensione attraverso il viso e gli occhi.


Vediamo ora quali sono gli aspetti, chiamati  3V+B, ai quali prestare attenzione:
  • V contatto visivo (oculare): guardare la persona
  • V tono della voce: ritmo e toni della voce, legame con la sfera emotiva
  • V aderenza verbale: stare con quello che l’altro dice, con la sua storia, non con la propria interpretazione di quella storia. Non cambiare argomento o se si cambia esserne consapevoli
  • B linguaggio corporeo: dimostrare attenzione e autenticità attraverso la postura del corpo

Altro elemento fondamentale da migliorare è l’ascolto attivo, che si attiva con questa sequenza:
1.Prestare attenzione e ascolto in maniera consapevole
2.Fare domande
3.Abilità di osservazione
4.Incoraggiare
5.Parafrasare
6.Fare il sommario
7.Verbalizzare

Esempi di linguaggio negativo vs positivo:
  • Non mi piace che tu faccia vs vorrei che tu facessi
  • Sei molto distratto vs stai attento!
  • Non essere così egoista vs puoi essere più generoso
  • Fai confusione perché non rifletti mai vs puoi rifletterci prima
  • Non finiamo mai in tempo vs vorrei che finissimo in tempo

Buone pratiche facilitanti:
Autorevolezza: Accogliere i cambiamenti e concordare alcune regole pratiche di comportamento, indispensabili alla convivenza
Reciprocità: parlare insieme di ciò che si fa, di chi si incontra, dei progetti, ecc
Intenzionalità: ascoltare, riflettere, condividere…
Incoraggiare: vedere gli aspetti positivi e non solo i rischi, annuire, fare gesti e espressioni facciali, ripetere parole chiave…
Riassumere: per chiudere una parte di colloquio rimandando all’interlocutore concetti chiave della comunicazione, senza interpretare
Parafrasare: riformulare i contenuti del messaggio dell’altro con parole proprie per chiarire il contenuto del messaggio
Verbalizzare: è una forma di supporto verbale che si riferisce più agli aspetti emozionali. Ad esempio, se ci dicono “Sono completamente scoraggiato, non ne posso più”, si può rispondere dicendo: “ti senti proprio a terra” o “ti senti triste per quanto ti sta capitando” o “non ce la fai più, ecco cosa provi in questo momento”.

IL NON DETTO

Per un educatore di nido è fondamentale interrogarsi sul “non detto”, sul “latente”, sull’implicito di tutte le situazioni che vive. Le educatrici devono interrogarsi profondamente non solo su se stesse e sul proprio operato ed emozioni ma anche sul "non detto" di ciò che i genitori raccontano del loro bambino, su ciò che fanno trasparire in maniera più o meno diretta e cosciente della loro relazione con il piccolo. Di seguito alcuni esempi significativi di domande chiave profonde da porsi:

  • Qual è l’idea di separazione di questa mamma dal suo bambino al momento di lasciarlo al nido?
  • Cosa ritiene questa famiglia che un bambino di un anno dovrebbe saper fare?
  • Qual è il significato del comportamento non verbale di questo papà?
  • Perché questa famiglia considera così importante mantenere questa abitudine alimentare della sua bambina?
  • In che modo questi genitori a casa danno da mangiare, addormentano, coccolano, raccontano le fiabe al loro figlio?
  • Quando e come gli dimostrano che gli vogliono bene?
Fonti: Elisabetta musi, Mondozero3 n. 2 settembre-ottobre 2008

ACCOGLIENZA – DISTACCO – RICONGIUNGIMENTO

Ecco a voi alcuni aspetti importanti sui momenti di accoglienza, distacco e ricongiungimento. Nella prima tabella potrete trovare gli aspetti psicologici che caratterizzano queste ruotine mentre nella seconda leggerete degli spunti sul comportamento che dovrebbero tenere gli educatori.


MORDERE AL NIDO

Al nido spesso succede che i bambini vengano morsicati dai loro compagni. La prima conseguenza è la mortificazione delle educatrici e successivamente la rabbia dei genitori che pensano che il proprio bambino non sia stato accudito a dovere. Gli adulti spesso drammatizzano la situazione mentre i bambini dimenticano subito l’accaduto e tornano serenamente a giocare con il piccolo amico “aggressore”.Ecco allora qualche riflessione sul significato del mordere per un bambino da 0 a 3 anni.
Il mordere di solito per il bimbo sull'anno di età è un modo per scoprire quello che lo circonda. Già dai sei-otto mesi di vita il lattante porta tutto alla bocca: questo è il modo migliore per scoprire e riconoscere gli oggetti, la loro forma, il loro sapore e odore. La bocca rimane lo strumento attraverso il quale il bimbo conosce il mondo circostante. Dopo l'anno il piccolo incomincia a capire che il mordicchiare attira la simpatia di mamma e papà; allo stesso modo il bambino più grande può utilizzare il morso per attirare l'attenzione degli altri su sé stesso o per scaricare una tensione emotiva. Più il bambino cresce, più il morso viene utilizzato quando c'è frustrazione, cioè impedimento ad una comunicazione più naturale. Bisogna ricordare che i bambini passano subito all’atto e non veicolano le loro emozioni attraverso la razionalità. Un esempio concreto: se il bambino è arrabbiato con il suo compagno che gli ha appena rubato il gioco lo può mordere. In genere fino ai 20 mesi non è ancora in grado di comprendere la disciplina e quindi la rabbia della mamma o delle educatrici fa parte del suo divertimento.


Cosa fare quando un bambino morde?
·         Evitare di ridere o di stare al gioco del bambino
·         Bisogna consolare la vittima, ma anche fare un intervento educativo verso il “morsicatore”, bisogna mantenere la calma ed evitare di far sentire il bambino cattivo perché questo amplifica il problema
·         Esprimere al bambino la contrarietà ai morsi, anche se sono piccoli bisogna dirgli che fa male e fargli vedere il segno
·         Visto che sono nell’età in cui masticano e mettono tutto in bocca concediamogli giochi che possono essere morsicati.
·         Se si valuta che sta per mordere intervenire usando un tono di voce dura, guardandolo negli occhi
·         Non utilizzare sistemi: tipo schiaffi o pizzicotti o morsi perché gli confermerebbe l’idea che il morso serve a far valere i propri diritti e che chi morde è il più forte
·         Se si ha l’abitudine per gioco di mordicchiare il bambino, smettere di farlo in quanto non è in grado di capire la differenza tra morsi affettuosi e quelli aggressivi


SOSTEGNO ALLA GENITORIALITÀ

I genitori di oggi manifestano molte ansie, preoccupazioni e difficoltà, necessitano di molte risposte, perché si sentono impreparati di fronte alla genitorialità, visto che oggi si cresce in famiglie con figlio unico, senza la frequentazione di cuginetti o nipotini, e spesso il primo bambino che una persona tiene in braccio è il proprio. Quale luogo migliore per rispondere a questo bisogno di formazione se non il nido? Il nido è un ambiente accogliente, famigliare e significativo per i genitori, nonché ricco di emozioni e ricordi, è il posto che racchiude una parte importante della vita del bambino e di conseguenza coinvolge l’intera famiglia. La formazione per i genitori può essere condotta da esperti di varie professionalità (psicologi, pedagogisti, educatori o formatori) e può seguire diverse modalità e approcci. I due modelli più validi da realizzare sono:  i Parent Training e le Scuole dei Genitori. Consistono in percorsi formativi di gruppo guidati da uno o due formatori, della durata di circa 4-5 incontri, con una ventina di partecipanti al massimo. La prima applicazione pratica del Parent Training nasce con lo scopo di affrontare tematiche specialistiche: dall’autismo ai disturbi del comportamento, dalle fobie al disturbo con deficit di attenzione e iperattività. Si tratta appunto di cicli di incontri rivolti ai genitori di bambini che soffrono di queste patologie, al fine di dare loro strumenti pratici per impostare criteri educativi corretti e gestire le relazioni interfamigliari con consapevolezza e con maggiore serenità. Questo modello di intervento si rivela subito innovativo in quanto, pur essendo affiancato al trattamento clinico e riabilitativo effettuato dai professionisti, pone al centro dell’attenzione la famiglia nella sua unicità. Il Parent Training mette a fuoco dimensioni così “calde” della quotidianità genitoriale da riscuotere, inevitabilmente, largo interesse e grande partecipazione, perché di fatto avviene una forma di supporto psico-educativo esteso alle situazioni quotidiane quali il sonno, la pappa, il gioco...
Un’altra metodologia di supporto alla genitorialità è la cosiddetta Scuola dei Genitori, meno tecnico pratica e più umanistica rispetto al Parent Training; la modalità generale prevede una serie di incontri che seguono un filone argomentativo (ad esempio, le paure del bambino,oppure i bisogni del bambino,) per stimolare, attraverso esercitazioni e attività di vario tipo (come la lettura di fiabe), una maggiore riflessione sulle dinamiche sottese alla genitorialità (credenze, aspettative, tratti di personalità, storia personale e di coppia).
L’autoconsapevolezza aumenta la possibilità che i comportamenti genitoriali siano efficaci ed equilibrati, e soprattutto in grado di migliorare le interazioni e il benessere di tutti in componenti della famiglia.
Organizzare un setting formativo al nido può rivelarsi una strategia vincente in quanto questi percorsi di formazione riescono a rispondere a una duplice funzione fondamentale: quella di in-formare e quella di creare occasioni di socializzazione tra genitori, permettendo loro di incontrarsi in un luogo positivo e di condividere le proprie esperienze.


Qualche suggerimento per chi voglia proporre un intervento formativo al nido:
·         Sperimentare, adattarsi alle esigenze di quel territorio specifico, di quel gruppo di famiglie specifico.
·    Più che trasmettere dall’alto dei contenuti astratti, insegnare delle abilità pratiche, dei metodi di comportamento semplici e chiari sperimentabili a casa dal genitore
·         Creare un buon clima di gruppo, in cui ciascuno si senta libero di porre domande e fare osservazioni
·         Seguire un approccio collaborativo (in cui il genitore è considerato protagonista insieme al formatore e viene aiutato a scoprire e valorizzare le proprie risorse) e contestuale
·       Inserire la trasmissione di metodi e tecniche all’interno di una prospettiva emotiva e relazionale fatta di comprensione ed empatia e libera dai giudizi; essere sinceri, realistici e umili, cioè porsi come guide sicure ma non come esperti intoccabili.
·        Genitori, si diventa. Tempo, fortuna, pazienza… e – perché no? – un buon corso di formazione.


Tratto da Mondozero3 n. 5 Marzo-Aprile 2010  (L. Benedetto, Il Parent Training: counseling e formazione per genitori, Carocci Roma 2005, C. Simonetti, Le scuole per genitori, Cacucci, Bari 2001).

giovedì 9 gennaio 2014

GLI EDUCATORI COME RISORSA


Essere risorsa per le famiglie significa, prestare sempre più cura e attenzione a quei momenti, come l’accoglienza e il ricongiungimento, in cui può essere messa in atto una comunicazione circolare (genitore, bambino, educatore), non casuale, ma consapevolmente programmata. È in queste occasioni che l’educatrice può, osservando la relazione della coppia bambino/genitore, “dare voce” a quei comportamenti del bambino che, a volte, vengono letti dal genitore in modo inadeguato, perché deviati dall’ansia e dalla preoccupazione.
Riflettere e mettere in atto atteggiamenti, strategie, scelte educative da parte delle educatrici, in quelle occasioni in cui i tre soggetti attivi del nido sono presenti contemporaneamente, può aiutare il genitore a cogliere la diversa modalità di relazione dell’educatrice nei confronti del suo bambino e consente all’educatrice stessa di rendere comprensibili agli occhi del genitore gli atteggiamenti del bambino, nella relazione con i coetanei, l’educatrice e il genitore (i pianti, i morsi, i rifiuti, ecc.).
L’educatrice risorsa per le famiglie, riesce a mettersi nei panni dei genitori, dimostrando chiaramente la sua accettazione nei confronti della mamma e del papà, manifestandola tramite azioni, parole, comportamenti. L’educatrice che sa provare empatia è capace di: “avere familiarità con una vasta gamma di sentimenti, guardare con la mente e non solo con gli occhi, riconoscere la parzialità del proprio punto di vista” (Stradi, 2001).
Saper ascoltare quanto ai genitori sta a cuore, capire i sentimenti e i significati nascosti nel messaggio che viene inviato, riconsegnare la propria interpretazione senza aggiungere o togliere nulla, costituisce una fase utile per mettere a fuoco i problemi. “Mettersi nei panni” dei genitori significa esprimere professionalità, sapendo indagare le dinamiche e le modalità di risposta ai problemi della vita affettiva e relazionale.

Tratto da Mondozero3 n. 6 Maggio-Giugno 2009
(R. Bosi, Pedagogia al nido, Carocci Roma 2002, D. Schön, Il professionista riflessivo, Dedalo, Bologna 2002, M.C. Stradi, Dialogo insegnanti-genitori, Junior, Bergamo 2001).



L'EDUCATORE AL NIDO



I “compiti” degli educatori sono:
·    Assistenza e cura: favorire l'autonomia nel bambino garantendo la sicurezza dell'ambiente che lo ospita, favorire l'autonomia nel bambino garantendo un adeguato rapporto tra educatori e bambini, garanzia dei ritmi fisiologici di sonno, veglia, alimentazione ed igiene nel rispetto dei ritmi personali, favorire nel bambino un approccio sereno e “curioso” al cibo, al sonno e al controllo sfinterico
·   Socializzazione: favorire la relazione fra bambini e bambini, favorire la relazione fra bambini ed educatori, favorire lo scambio tra età diverse
·    Educazione: promuovere il naturale processo di conoscenza e curiosità nel bambino attraverso la predisposizione di spazi e materiali che favoriscano l'esplorazione e la conoscenza, promuovere lo sviluppo nel bambino favorendo i processi di cambiamento, favorire i processi imitativi attraverso la predisposizione di spazi e materiali per il gioco simbolico
·        Sostegno alla genitorialità: promuovere la collaborazione nei genitori invitandoli ad una collaborazione attiva e propositiva, favorire lo stabilirsi di rapporti positivi tra gli adulti all'interno del servizio, attivazione di percorsi formativi per i genitori, promozione di momenti di confronto tra adulti dove condividere ed elaborare risposte comuni ai problemi che interessano l'esperienza dell'essere genitori


L’educatore
·         prima esplora la situazione
·         in seguito, imposta il problema, elabora delle ipotesi di soluzione sulla base delle proprie conoscenze teoriche e dell’esperienza
·         quindi tenta di modificare la situazione con alcuni interventi pratici e concreti
·      infine, verifica se l’ipotesi messa in atto ha portato dei cambiamenti, analizzando la risposta fornita dalla situazione modificata.

La figura dell’educatore, nel contesto dell’asilo nido, rappresenta un momento fondamentale per il processo formativo del bambino durante la prima infanzia, perché è all’interno della relazione che si instaura tra l’educatore e il bambino che può nascere l’origine della socialità e della legalità, basata su un confronto arricchente e sempre unico che porta il bambino ad una maggiore sicurezza in se stesso e lo aiuta ad aprirsi alla relazione con gli altri; una relazione basata sul rispetto dell’altro, sulla scoperta del diverso, rappresenta un presupposto indispensabile affinché possa svilupparsi quell’atteggiamento di fiducia e di integrità. 
Dare dignità e valore alla professionalità dell’educatore al nido è un modo per capire e valorizzare il momento delicato ed essenziale della formazione, di cui l’educatore è responsabile, significa dare valore ad un ruolo che, troppe volte, è stato preso in ben poca considerazione e che invece tanto può contribuire alla formazione dell’uomo e del cittadino di domani.
Infatti, nella nostra società dalle caratteristiche complesse e mutevoli, “la professione dell’educatore di asilo nido si può configurare come un ruolo culturale ed educativo dinamico e complesso, che si propone come interlocutore privilegiato della famiglia e di altre agenzie educative del territorio in cui opera e con esse cresce contribuendo a costruire una cultura dell’infanzia in grado di contestualizzarsi e storicizzarsi” (B. Morsiani, B. Orsoni in P. Bertolini(a cura di), Nido e dintorni, La Nuova Italia, Firenze 1997).


La professionalità dell’educatore al nido si crea a partire da una approfondita riflessione sul mondo dell’infanzia e dei suoi bisogni di conoscenza, comunicazione, espressione; allo stesso tempo, l’educatore deve maturare una buona capacità di mediazione tra la cultura e il vissuto del bambino, deve possedere una buona capacità di mettersi in gioco e di ripensarsi continuamente alla luce delle esperienze fatte e dei possibili errori commessi, deve essere capace di collaborare con i colleghi, le famiglie e soprattutto con le risorse presenti nel territorio.


Emma Rossi delinea alcuni punti che caratterizzano la professionalità dell’educatore (E. Rossi, Un nido per volare, Magi, Roma 2002) :
·         l’attenzione all’inserimento graduale del bambino
·      la riflessione sulla delicatezza della condivisione delle cure fra famiglia e nido, nel rispetto della centralità della famiglia e della storia personale di ogni bambino
·        l’osservazione del bambino, finalizzata ad accompagnarlo nel suo percorso di crescita individuale, favorendo il consolidarsi della sua identità ed espressione del sé, attraverso il gioco e altre attività educative
·         la tensione verso un’articolazione del proprio lavoro capace di tenere conto dei bisogni del bambino, ma anche di sostenere i genitori, accettando le emozioni spesso contraddittorie che accompagnano il primo processo di autonomia e distacco fra bambini e genitori
·         la capacità a progettare l’ambiente e di proporre esperienze che assecondino lo sviluppo sociale e cognitivo, secondo i ritmi di ogni bambino.

Quando tale ruolo è pazientemente e accuratamente costruito, anche attraverso una formazione permanente a livello sia individuale che di gruppo, si giunge al consolidamento di una professionalità specifica, attenta nel contempo al bambino e alla sua famiglia, consapevole delle complesse dinamiche relazionali quotidianamente messe in atto fra sé e il bambino/bambini, con le colleghe del collettivo e con le famiglie; si delinea una professionalità capace di operare una sintesi tra i diversi ambiti: un sapere, di cui l’educatore è portavoce, che non guarda solo a tecniche e metodologie, ma che si esplica anche in un “saper essere”, in un “saper interagire”, in un “saper fare”: è utile ricordare che lo studio e l’approfondimento sono la base indispensabile del lavoro educativo.

Cosa ne pensate del vostro ruolo?



martedì 7 gennaio 2014

E SE AL NIDO ARRIVANO DUE (O PIU’) GEMELLI???

Nella vostra esperienza di educatrici può esservi capitato di avere a che fare con dei gemelli. O, se non vi è ancora successo, potrà succedervi in futuro. Vediamo però quali sono gli aspetti interessanti su questa situazione particolare che possiamo incontrare nel nostro lavoro.

Il compito fondamentale del nido è quello di facilitare lo sviluppo del bambino andando incontro ai suoi bisogni e a quelli dei genitori. Nel caso dei gemelli ciò significa facilitare in ognuno di loro lo sviluppo di una specifica personalità trattandoli come individui distinti.

Il nido, nella maggior parte dei casi, è per i bambini la prima esperienza di società, di contatto con altri bambini e adulti. Per i gemelli invece (abituati sin da quando erano nell’utero, a dover dividere ogni cosa, ad aspettare il proprio turno per ricevere cure, attenzioni, ecc…) è la prima occasione per allargare la stretta relazione gemellare a qualcuno che non sia il fratello gemello. I gemelli in genere si adattano rapidamente all'asilo ed alla compagnia degli altri bambini ma può anche capitare che il trovarsi con bambini sconosciuti e di differenti età, porti allo spavento tanto da ricercare la sicurezza dell'altro e rifiutare di essere separati. Di solito comunque, andare all’asilo con il proprio gemello, permette al bambino di vivere con più serenità l’esperienza del nido perché ha il vantaggio di non essere mai solo in questa nuova avventura.

La questione più complicata rimane la solita: tenere i gemelli nella stessa sezione o separarli? Innanzitutto è da dire che, come in ogni situazione educativa, tutto dipende dal caso particolare. Non si può stabilire una regola a priori. Si deve analizzare il caso specifico e poi prendere una decisione mirata, che va bene solo per quel caso e per quei bambini. Ci sono però delle cose da tenere a mente.





1)      Per i gemelli, nei primi anni di vita, è importante sia rimanere assieme per costruire quel legame comunque unico che solo i gemelli possono avere, ma anche separarsi per evitare che questo legame speciale diventi morboso e li soffochi.
2)      Nessuno è più abile dei gemelli a cooperare per giocare o fare altro. Sono in genere molto più avanti degli altri bambini nello sviluppare delle competenze di gioco interattivo e nel cooperare.
3)      Ogni coppia di gemelli ha le proprie preferenze. Occorre cercare di capire se i bambini preferiscono rimanere assieme o separati.
4)      Solitamente è meglio dividere i bambini se uno tende a prevaricare sempre sull’altro, parlare al posto suo, ecc…

Andare al nido aiuta anche a non incorrere in alcuni dei problemi tipici dei gemelli, ovvero:
  • problemi di identificazione
  • criptofasia (il “linguaggio segreto” dei gemelli)
  • difficoltà a instaurare una relazione con gli altri bambini perché per loro c'è meno novità nell'interagire con un bambino.
Le buone pratiche nel lavoro delle educatrici sono quindi:
  • Non chiamare mai i bambini “i gemelli” o “le gemelle”, ricordando che i bambini sono unici, anche nella gemellarità
  • Favorire il processo di individuazione-separazione (che inizia attorno ai 9-10 mesi), più facile per gemelli di sesso diverso o per gli eterozigoti
  • Predisporre momenti in cui lavorare espressamente con i bambini per aiutarli a identificarsi (per esempio il gioco del “chi c’è oggi al nido?” dopo l’accoglienza in cui proprio attraverso un gioco i bimbi imparavano a riconoscere sé stessi e gli altri in foto trovando chi è presente e chi manca) e stimolare lo sviluppo dell’individualità, promuovendo le differenze
  • Nel caso i bimbi si assomiglino molto, chiedere ai genitori tutti gli elementi fisici e di carattere per imparare a distinguerli
  • Chiedere ai genitori di vestirli sempre diversi, cercando magari di adottare uno “stile” che faciliti ulteriormente il riconoscimento
  • Assegnare loro cassettine o armadietti separati
  • Se uno dei due gemelli non può venire al nido, invitare i genitori a portare comunque l’altro
  • Valutare caso per caso, con l’aiuto della psicopedagogista, se sia meglio tenere i gemelli nella stessa sezione o separarli
  • Porre molta attenzione se uno dei gemelli tende a prevalere sempre sull’altro, lasciandolo in ombra
E per concludere, le magnifiche parole di Gibran: 
“Voi siete nati insieme e insieme starete per sempre.
[…] Ma vi sia spazio nella vostra unione,
E tra voi danzino i venti dei cieli.
[…] Amatevi l'un l'altro, ma non fatene una prigione d'amore:
Piuttosto vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre anime.
[…] Cantate e danzate insieme e state allegri, ma ognuno di voi sia solo,
Come sole sono le corde del liuto, benché vibrino di musica uguale.
[…] E siate uniti, ma non troppo vicini;
Le colonne del tempio si ergono distanti,
E la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro”


domenica 5 gennaio 2014

IL PROGETTO EDUCATIVO

Il progetto educativo è l’anima del nido, il suo “credo” rispetto ai bambini e alla loro crescita. Il progetto educativo delinea ogni aspetto della vita dei bambini al nido e dei comportamenti delle educatrici, in quanto traduce nella pratica le idee pedagogiche, ispirate a teorie sullo sviluppo e sulla crescita.
Il progetto educativo è anche il Patto con le famiglie, cioè il terreno culturale che determina l’incontro tra i genitori e il nido in cui si decide di iscrivere il proprio bambino/a. I genitori devono poter conoscere e condividere il progetto educativo, nell’ottica di una responsabilità condivisa tra genitori ed educatori.
Il progetto educativo spiega le scelte sulla formazione delle educatrici e sulla stabilità o meno del team; dà forma alla giornata del nido che dovrebbe comunque avere una scansione prevedibile dai bambini; disegna lo spazio e le sue funzioni; determina la formazione dei gruppi e il rapporto numerico tra adulti e bambini; pensa le modalità di ambientamento dei bambini e come condividerle con i genitori; stabilisce l’alternarsi di attività di gioco libero e di gioco strutturato o creativo nell’arco della giornata; prevede i modi ed i tempi per la condivisione o solo comunicazione delle esperienze dei bambini ai genitori. Esplicita gli obiettivi sulla crescita dei bambini e le modalità per raggiungerli.
Cosa può chiedere un genitore in visita al nido per capire se sarà in sintonia con il progetto educativo?

• Quali modelli teorici ispirano il progetto educativo? Se si sceglie una scuola di metodo i riferimenti sono chiari, altrimenti è bene capire da chi il nido trae il fondamento delle proprie scelte

• Quali obiettivi sulla crescita dei bambini si pone il nido e attraverso quali azioni diventano evidenti e documentabili ai genitori? Per esempio favorire la maturazione di competenze relazionali nei piccoli, oppure la conquista di abilità ed autonomia, il pensiero creativo, l’autostima sono obiettivi importanti ed è importante capire come vengono raggiunti e lo è soprattutto capire come vengono raggiunti

• Qual è il ruolo delle educatrici nella crescita dei bambini? Si crede che sia importante cambiare l’educatrice ogni anno o creare una continuità di legami affettivi ed educativi?

• Com’è organizzata la giornata dei bambini, con quali ritmi e come li si aiuta a viverla serenamente? Ci sono dei rituali per introdurre le attività? Le giornate hanno uno schema ripetitivo o sono improvvisate?

• Quante attività fanno i bambini in una mattina? Cosa succede se i bambini non vogliono interrompere l’attività e passare alla successiva?

• Come viene proposto il pasto ai bambini? Ci sono delle regole da rispettare? Quali? I bambini possono mangiare il cibo con le mani? Quanto tempo dura il pasto? Anche la scelta di avere una cucina interna deve rientrare nel Progetto Educativo, perché comporta decidere la valenza da dare alla cuoca: è una figura conosciuta dai bambini?

• La formazione dei gruppi risponde anche essa ad una scelta di fondo: si crede o meno nell’importanza della relazione tra pari? Oppure si pensa che i bambini crescano meglio confrontandosi con età differenti? Cosa significa questo nella quotidianità del nido?

• Le attività proposte ai bambini: quali sono e come si differenziano per età e soprattutto come vengono proposte? I bambini sono liberi di sporcarsi o ci sono regole in questo? Sono seduti a tavolino o sono liberi di muoversi? C’è un’educatrice che gli fa vedere come fare le cose o scoprono tutto da soli?

• I materiali utilizzati: giocattoli in plastica facilmente lavabili possono rasserenare il genitore più attento all’igiene, materiali riciclo variegati danno soddisfazione a chi crede che lo sviluppo cognitivo ed emozionale di un bimbo piccolo abbia bisogno di esperienze sensoriali e tattili

• Gli spazi del nido: quante attività svolgono in ogni spazio e quanti arredi e materiali sono presenti? Cioè lo spazio definisce l’esperienza dei bambini o si limita a suggerire? Ci sono luoghi privilegiati per i più piccoli del nido o stanno insieme? È uno spazio che privilegia le attività motorie e libere o le attività creative?

Tratto da http://www.mammaelavoro.it   La pedagogista Cinzia D’Alessandro


sabato 4 gennaio 2014

BUONE PRATICHE CON LE SEZIONI

Negli ultimi anni stanno evolvendo in modo rapido espressioni di diverse metodologie....Il nido viene organizzato, per tempi e spazi relativi alle attività di gioco, in sezioni, gruppi o moduli: la strutturazione delle sezioni prevede sia la sezione omogenea per età o la sezione eterogenea che è caratterizzata da elementi-stimolo per promuovere l’interazione di intelligenze diverse, di abilità comunicative molteplici e lo sviluppo di competenze di gruppo.
In genere il nido è organizzato per sezioni omogenee per età così suddivise:
·         sezione lattanti, che accoglie bambine e bambini dai 6 ai 12 mesi
·         sezione semidivezzi o medi, che accoglie bambine e bambini dai 12 ai 24 mesi
·         sezione divezzi o grandi, che accoglie bambine e bambini dai 24 ai 36 mesi

All’interno di ciascuna sezione viene garantito, in ogni momento della giornata, il rapporto numerico educatrice di riferimento/bambino secondo la normativa.
La sezione è il luogo dove il bambino può esprimere se stesso, condividendo con il gruppo esperienze e routine. Un’interessante esperienza verticale di gruppi misti si può trovare attraverso una sperimentazione realizzata a Torino negli anni 90’ che ha visto la partecipazione di circa 70 bambini, di cui 15 lattanti, 30 semidivezzi e 24 divezzi.
I vantaggi a livello educativo sono stati evidenziati su diversi fronti:
·         Per i genitori: il coinvolgimento delle figure familiari nella realizzazione di un inserimento graduale e attento alle esigenze di ogni bambino e di ogni famiglia; il numero e la varietà degli spazi a disposizione permette, infatti, di scegliere, insieme al genitore, il luogo più adatto alla personalità del bambino e alle sue momentanee necessità (di raccoglimento, di tranquillità, o, al contrario, di esplorazione e di interazione). 
La stessa disponibilità di spazio offre la possibilità di individualizzare la durata dell’inserimento: in casi particolari, possiamo permettere al bambino un approccio più graduale ad un contesto del tutto nuovo. Esplorando i diversi spazi con l’educatore e con il genitore, il bambino inizia a rapportarsi con gli altri bambini, di diverse età, che hanno già familiarizzato con l’ambiente. Questo rassicura il genitore e lo coinvolge nella nuova rete relazionale.
·         Per i bambini: un maggior numero di modelli a cui attingere, anche in rapporto allo svolgimento delle attività; facilità di adattamento a figure nuove, in caso di sostituzione del personale; maggiore capacità di orientamento nello spazio e possibilità di scelta di luoghi, attività e materiali; maggiori stimoli ricevuti da bambini più piccoli (o più grandi), senso di responsabilità e attenzione verso i più piccoli; scambio di ruoli tra bambini, importantissimo nel favorire i meccanismi di identificazione e di proiezione; possibilità, per tutti, di partecipare alle diverse attività (gite, piscina, soggiorni, laboratori).
·         Per gli educatori: maggiore facilità e frequenza di confronto fra colleghi; desiderio di aggiornarsi per migliorare, maggior controllo dell’ansia, perché il gruppo di bambini è gestito da più figure professionali.

Inizialmente, la sperimentazione è stata accolta con qualche dubbio e con l’ansia di non riuscire a portare a termine gli obiettivi-base prefissati relativi al benessere del bambino, della famiglia e delle persone che lavorano all’interno della struttura.
Di conseguenza, è stato necessario ripensare gli spazi, organizzando i diversi ambienti dando attenzione agli elementi di sfondo dei processi didattici. L’ambiente è stato pensato non come un’entità separata dal bambino (sezione rigidamente chiusa), ma come contesto costituito da elementi materiali (spazi, oggetti, tempi…), da persone (bambini, educatori, genitori…) e dall’intreccio delle loro interazioni. Ad esempio sono nati: lo Spazio Palestra vengono stimolate le attività grosso-motorie, sia con giochi liberi che con percorsi strutturati (tricicli, palloni, cerchi e bacchette); lo Spazio Pallestra favorisce il movimento, l’equilibrio e la prima conoscenza corporea; nello Spazio Casetta prende forma il gioco simbolico attraverso l’imitazione dei ruoli familiari; lo Spazio Euristico stimola l’immaginazione e il gioco di scoperta; lo Spazio Morbido propone l’esperienza sensoriale e lo Spazio Cognitivo offre diverse opportunità di sperimentare giochi strutturati.

Gli spazi, prima rigidamente codificati per le attività di routine (pappa, nanna, cambio), sono stati trasformati per permettere al bambino una vasta gamma di esperienze sul piano motorio, sensoriale, percettivo, espressivo e cognitivo. L’ambiente è stato progettato partendo dal presupposto che debba essere una risorsa per tutti e offrire un ampio ventaglio di occasioni in cui il bambino possa scegliere, esplorare, sperimentare per intraprendere il processo di differenziazione tra sé e il mondo esterno e costruire la sua mappa cognitiva. 

venerdì 3 gennaio 2014

IL CIUCCIO

Togliere il ciuccio?
Smettere di fumare?
Diminuire il numero dei caffè durante la giornata?.....

Se qualcuno un giorno senza nessuna motivazione, senza preavviso, vi impedisse di poter praticare le vostre abitudini, per potervi consolare e rilassare, voi come reagireste?
Le reazioni sicuramente sarebbero di rabbia, ira, tristezza e d’inquietudine, quindi si può immaginare un bambino come possa reagire se l’adulto dovesse decidere di punto in bianco di negargli il ciuccio. Le reazioni del bambino possono essere uguali a quelle dell’adulto, ma molto più forti e destabilizzanti.

Per togliere il ciuccio, non c’è una ricetta valida a livello universale, perché ogni bambino è diverso e ogni famiglia ha il proprio equilibrio, è sempre un’incognita. È opportuno ricordare che la suzione è un gesto naturale nei bambini, perché soddisfa il bisogno primario della nutrizione ed è un modo per affrontare la paura e la solitudine; infatti può essere un importante aiuto psicologico utile a conciliare il sonno, a scaricare le tensioni, a far sentire il bambino sicuro e protetto e dargli piacere (succhiare rappresenta un modo di esplorazione del mondo circostante, attraverso il quale dalla nascita ai due anni il bambino porta alla bocca qualsiasi oggetto).
Quando il bambino sarà pronto a togliere il ciuccio, lo farà da solo senza che nessun adulto gli suggerisca il momento adatto, questo accadrà, quando lui si sentirà sicuro di se stesso, troverà altrimenti un altro oggetto che potrà sostituirlo. Non c’è un momento preciso per togliere il ciuccio al bambino, in genere avviene spontaneamente verso i due o i tre anni, (entro i quattro) quando il bambino acquisisce fiducia in sé stesso. In ogni caso il distacco dal ciuccio non deve mai essere improvviso, ma graduale!
Ad esempio si può decidere insieme al bambino di conservarlo in una scatolina o in un posto sicuro quando non lo usa; un buon metodo per l’abbandono definitivo è quello di creare un rituale come legare il ciuccio ad un palloncino facendolo volare via, lasciarlo alla fatina dei ciucci, seppellirlo nella terra con dei semini, regalarlo ad un bambino appena nato. Bisogna evitare metodi coercitivi, è meglio giocare con la fantasia e la creatività! L’importante è che il bambino sia protagonista e si senta coinvolto, viva quindi l’abbandono del ciuccio come una sua scelta. Meglio poi scegliere un periodo tranquillo, senza stress, magari durante le vacanze e nel giorno di compleanno quando “diventa grande”.



Ecco qualche libro da suggerire ai genitori, e da leggere insieme al bambino al nido:

Anch’io voglio il ciuccio! di Lindgren, Landström
Battista e il ciuccio di Uri Orlev
Ciao ciao, Ciuccio! di Brigitte Weninger
Il ciuccio di Nina di Christine Naumann-Villemin
Lo vuoi il mio ciuccio? di Biagio Bagini, Marcella Moia
Il mio ciuccio per te di Emanuela Nava
Voglio il mio ciuccio di Tony Ross

Ed infine guardate questo video! 



giovedì 2 gennaio 2014

STRUMENTI UTILI PER LA RIFLESSIONE


Sappiamo bene che la nostra professione di educatori richiede sempre una costante riflessione su quello che ci succede, su quello che facciamo, pensiamo e sentiamo. È quindi utile, a volte, avere degli strumenti che ci guidano dentro alla riflessione su tematiche importanti per assumere sempre più consapevolezza del sé e delle proprie azioni. Di seguito, alcuni spunti di riflessione. 

1)      Ripensando ad un collettivo “di fuoco”,  descrivilo brevemente  cercando di essere il più sincera e precisa possibile, ponendo attenzione a:
·         Che cosa è successo
·         Che cosa ho pensato
·         Che cosa ho provato
·         Come mi comporto quando le colleghe mi fanno osservazioni
·         Come mi comporto quando discutiamo sui bambini

      2)      Ripensando ad un incontro con i genitori (accoglienza o ritiro del bambino) che ti ha particolarmente “messo in crisi”, descrivi:
·         Data e ora
·         Luogo
·         Cosa è successo
·         Cosa ho pensato
·         Cosa ho provato

      3)      Ripensando ad un incontro con i genitori (accoglienza o ritiro del bambino) in cui ti sei trovata a tuo agio, descrivi:
·         Data e ora
·         Luogo
·         Cosa è successo
·         Cosa ho pensato
·         Cosa ho provato

4)      Individua e descrivi un aspetto particolarmente difficile del tuo lavoro che ti mette in crisi nelle relazioni con gli adulti al Nido, ipotizza una soluzione e predisponi una scaletta per punti che descrivano in sintesi cosa fare concretamente per cambiare la situazione critica.