Il pasto al nido è un momento delicato. Innanzitutto dobbiamo
ricordare che il “cibo e l’alimentazione non hanno solo una dimensione
funzionale (interrompere la fame), ma anche una dimensione edonistica,
cioè di piacere”(Edwards C., Gandini L., Forman G. (a cura di),
I cento linguaggi dei bambini. L’approccio di Reggio Emilia all’educazione dell’infanzia, Junior, Bergamo 2010, 164-168).
La bocca infatti è un “luogo relazionale” e il cibo è uno dei cento
linguaggi (sempre secondo l’approccio di Reggio Children) attraverso cui
si veicolano affetto, saperi e cultura. Tutti noi conosciamo il detto
“mangiare con gli occhi”. Si guarda, si odora, si tocca (il bambino ama
manipolare il cibo) e poi si gusta. Quindi l’esperienza con il cibo è
totale, non solo funzionale alla sopravvivenza. Ed è anche esperienza
sociale e socializzante che assume un valore comunicativo.
Le cuoche, devono essere nostre complici e alleate. Sono figure
insostituibili nei processi educativi dei bambini perché “ridanno vita”
ai cibi, si prendono cura delle persone, assicurando al cibo un valore
aggiunto e apportando anche note di qualità estetica. Un rito insomma,
quello del pranzo, che ha molteplici valenze educative: la convivialità,
la condivisione, il rito dell’apparecchiatura, i processi imitativi, le
regole e molto altro.
Le buone pratiche perché il bambino possa mangiare al nido sono:
- Il bambino deve avere fame
- Il bambino deve essere sveglio
- Il bambino deve aver stabilito un rapporto con la persona che gli offre del cibo
- Deve esserci un ambiente tranquillo
- Il bambino deve essere in una posizione comoda
- Il cibo deve essere gradevole, per temperatura gusto e consistenza
- Il bambino deve poter determinare il ritmo alimentazione
- Il bambino deve poter entrare in contatto in prima persona con il cibo
Nb: È importante che, per i bambini molto piccoli, sia sostenuta la gradualità del processo di svezzamento
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